Antiumanistica

~ eterografia d'un ritratto

Antiumanistica

Archivi Mensili: giugno 2015

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30 martedì Giu 2015

Posted by F. B. in Carmelo Bene, William Shakespeare

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Carmelo Bene, Macbeth Horror Suite

La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore
Che si dimena la sua ora sulla scena del mondo
E poi non se ne parla più. E’ la favola
Raccontata da un’idiota, tutta strepito, furia,
Che non vuol dire niente

William Shakespeare, Macbeth

 

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30 martedì Giu 2015

Posted by F. B. in Carmelo Bene, Carmelo Bene

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Carmelo Bene, Macbeth Horror Suite

Dalla quiete universa dei non morti una volta per tutte, Duncan-corpo storico, regale dormiveglia, si lascia titillare un bel mattino da un chicchirichì. E, sciagurato, baratta la sua mummia sovrana-estatica col primo gesto insensato che gli accade. Scioglie, incauto, le bende del suo immoto alla balia dell’”agire-patire” che lo precipita in Macbeth (la sua stessa morte, per cominciare) che, attore demenziale, ne prosegue la vita, e nella vita è bello e coniugato a degno amore (degno amor di teatro): la sua donna-ragazzo-Lady Macbeth. E, via col vento, s’amano del sangue che s’addice all’amore che si dice.

Vestono (son vestiti) e svestono umori. Azione è il dire, scena l’immaginario.

E i sentimenti, e l’anima? Mai leccato un sentimento. Mai penetrata un’anima. Che farne? Le stipiamo per sempre queste apprensioni dello spirito sotto spirito. Se ne farà conserva rancida di che seguiterà a condirsi la routine del teatro “riferito”.

Resta la perversione: questa vita penosamente surrogata dall’esistenza. E non resta l’amore, se non presso di noi disamorato, per giocare alla “piccola morte”. Quanto all’Altra, verrà quando già tutto è morto. A raccogliere l’oblio che non volemmo o non potemmo essere.

Ecco. Un braccio bendato. Una ferita? E svolgi questa benda, svolgi, svolgi: bianco bianco men bianco un po’ di rosso rosso rosso più rosso (è qui la piaga?) Svolgi svolgi men rosso meno rosso meno rosso Bianco bianco più bianco più bianco e via la benda Niente.

Ferita era la benda e non il braccio.

Che sia questa e nient’altro, la malinconia (?).

Carmelo Bene, Sono apparso alla Madonna

Digressione

28 domenica Giu 2015

Posted by F. B. in Jonathan Swift

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La mia riconciliazione con la razza degli yahoo potrebbe non essere così difficile, sol che essi si contentassero di avere quei soli vizi e quelle sole follie che la natura ha dato loro in sorte. Non mi ribello alla vista d’un avvocato, d’un borsaiolo, d’un colonnello, d’un buffone, di un Pari d’Inghilterra, d’un giocatore, d’un uomo politico, d’un ruffiano, d’un medico, d’un testimone, d’un subornatore, d’un procuratore, d’un traditore, e di altra simile genìa: tutto ciò è nell’ordine naturale delle cose. Ma quando vedo un ammasso di deformità e d’infermità fisiche e morali arrogarsi perfino d’essere orgoglioso, esco allora fuori dai gangheri; né riesco a concepire come possano mai stare insieme una simile bestia e il vizio dell’orgoglio. I saggi e virtuosi houyhnhnm, colmi d’ogni eccelsa dote atta a fregiare una creatura ragionevole, non hanno nel loro idioma una parola che designi l’orgoglio.

Jonathan Swift, Un viaggio nel paese degli Houyhnhnm

Digressione

28 domenica Giu 2015

Posted by F. B. in Jonathan Swift

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Più progredivo nella lingua houynhnmese, più il padrone esigeva che le mie risposte fossero esaurienti. Gli squadernai, meglio che seppi, lo stato di tutta Europa; […] gli narrai i fasti della Rivoluzione del Principe di Orange e la guerra che questi dichiarò alla Francia […]. Presi a descrivergli cannoni, colubrine, moschetti, carabine, pistole, proiettili, polvere, spade, baionette, battaglie, assedi, ritirate, attacchi, mine, contrammine, bombardamenti, battaglie navali; vascelli affondati con sopra mille uomini, ventimila combattenti uccisi da ciascun lato; gemiti di moribondi, membra volanti per l’aria, fumo, rumore, confusione, cavalli calpestanti corpi umani fino a ridurli a cadaveri; fughe, inseguimenti, vittorie; campi disseminati di carogne abbandonate alla voracità dei cani, dei lupi, degli uccelli di rapina; saccheggi, spoliazioni, stupri, incendi, distruzioni. E affinché il valore dei miei diletti compatrioti potesse rifulgere, lo assicurai che li avevo visti in un assedio riuscire a far saltare in aria cento nemici in una volta, e altrettanti in un combattimento navale, e che m’ero goduto la vista dei corpi morti piombanti giù a pezzi dalle nuvole.

M’accingevo a dare più minuti particolari, quando il padrone m’ingiunse di tacere: «Chiunque conosce» egli disse «l’indole degli yahoo può agevolmente capire che un animale così abietto diventi capace di commettere tutte le orribili azioni da voi menzionate, sol che forza ed accortezza eguaglino la tristizia. […] Odio, sì, gli yahoo di questo paese, ma non li biasimo per i loro abominevoli difetti più di un gnnayh (uccello rapace) per la sua crudeltà, o d’una pietra acuminata per la sua qualità di ferirmi lo zoccolo. Ma quando un essere che si vanta ragionevole può essere capace di tutte le atrocità cui avete accennato, comincio allora a temere che la ragione male adoperata sia qualche cosa di peggio della stessa naturale bestialità. Voglio, dunque, credere che voi siate dotati, non già di ragione, ma d’una facoltà atta ad accrescere i vostri difetti naturali, quale un torbido ruscello che riflette l’immagine d’un corpo deforme, non soltanto ingrandita, ma più stravolta che mai».

Jonathan Swift, Un viaggio nel paese degli Houyhnhnm

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26 venerdì Giu 2015

Posted by F. B. in Igor Stravinskij, Theodor W. Adorno

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Igor Stravinskij, “Marche triumphale du diable”, L’histoire du Soldat

Orchestra/Ensemble: Markevitch Ensemble
Performer: Jean Cocteau, Peter Ustinov, Jean-Marie Fertey, Anne Tonietti

L’Histoire du Soldat non si fa scrupolo di accogliere nelle sue linee musicali modi di comportamento psicotici. L’unità organico-estetica è dissociata. Voce recitante, eventi scenici e orchestra da carriera – messa ben in vista – vengono posti l’uno accanto all’altro in modo da sfidare l’identità dello stesso soggetto estetico fondamentale. L’aspetto anorganico impedisce di esser compartecipi, di identificarsi, ed è raffigurato dalla partitura stessa, che risveglia l’impressione di un che di sconvolto, formulato con maestria estrema: questo specialmente grazie alla sonorità strumentale, che fa saltare le abituali proporzioni di equilibrio. L’autore esige dal trombone, dagli strumenti a percussione e dal contrabbasso una dimensione smisurata – un suono sghembo, esorbitante dall’equilibrio acustico […]. La fattura armonico-melodica si determina mediante una duplicità di lapsi e di inesorabile controllo, duplicità che presta all’arbitrio estremo una certa determinatezza. C’è in essa qualcosa della logica inevitabile e inarrestabile del difetto, che sconfigge la logica propria della cosa: è come se la decomposizione ricomponesse se stessa.

Theodor W. Adorno, Filosofia della musica moderna

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26 venerdì Giu 2015

Posted by F. B. in Igor Stravinskij

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Igor Stravinskij, “Danza infernale dei succubi di Kashcei”, L’uccello di fuoco

Pierre Boulez, Chicago Symphony Orchestra

L’uccello di fuoco è un capolavoro attraverso cui può scorgersi l’emancipazione di Stravinskij dalle convenzioni. Una per tutte, l’idea romantica che la musica debba seguire un percorso di sviluppo. La Danza infernale è così basata su alcuni elementi statici, che non si sviluppano, rimangono sempre uguali a se stessi, ma già con questi elementi riesce a creare un tessuto eminentemente drammatico, e drammaturgicamente perfetto.

E’ difficile stare appresso all’Uccello di fuoco: cambia sempre. Ebbene questa struttura completamente imprevedibile ed imprendibile è fatta di blocchi che in se stessi non si sviluppano. Stravinskij cambia orchestrazione, cambia armonia, cambia scala, ripetizioni e cambiamenti. L’unica cosa che manca è lo sviluppo. Stravinskij rinuncia in maniera drastica alla caratteristica con la quale si era costruita la musica per trecento anni prima di lui, e cioè lo sviluppo tematico. E’ la rinuncia di un genio, perchè rinunciando a questa caratteristica non ci fa assolutamente sentire la mancanza di essa, ma anzi ci fa scoprire un mondo articolato in maniera meravigliosa, incantato come il giardino di Kashcei.

Francesco Antonioni, “L’uccello di fuoco”, RadioTreSuite

Digressione

24 mercoledì Giu 2015

Posted by F. B. in Léon Bloy

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Un uomo di peso

La prima condizione per aver diritto a questo titolo onorifico è di essere qualcuno e soprattutto di essere qualcosa, senza che sia indispensabile essere qualcuno. Un sindaco di paese, un brigadiere dei gendarmi, una guardia campestre, un maestro, sono uomini di peso. […] Più si è qualcosa e più si ha peso: questo è palese e, a un certo livello, c’è da rompere tutte le bilance. Gli astronomi, che son gente d’una fede potente, hanno pesato, a quanto si dice, il pianeta Giove e anche il Sole, ma chi oserebbe cimentarsi a pesare non dico un Presidente della Repubblica, ma addirittura un notaio? […] Ci sono uomini che hanno un peso schiacciante, da cui è difficile sbarazzarci. Ce ne sono alcuni che sono come pietre tombali su sepolti vivi e i loro nomi somigliano a epitaffi.

Léon Bloy, Esegesi dei luoghi comuni

Digressione

24 mercoledì Giu 2015

Posted by F. B. in Léon Bloy

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Siete un originale

E’ un’accusa terribile. Tutto può essere perdonato, tranne questo. Un Borghese darà la propria figlia a un bancarottiere, a un assassino; la darà con tutte e due le mani a un infame prosseneta, a un sensale di tradimenti e di infamie, perfino a un ministro; ma non la darà mai a un originale. […] I poeti, gli spostati, i vagabondi amano credere che l’originalità sia qualche cosa. Questi poveri diavoli credono di fare l’elogio di uno scrittore, per esempio, dicendo che è un originale, che è lui e non un altro, e non si accorgono che questo elogio lo disonora. […] Un buon scrittore, degno dell’Académie française, non deve essere più originale di un calzolaio o di un conciatore. […] Egli ha anche il dovere di esecrare l’originalità dal più profondo del cuore. Un bel libro di Anatole France […] si riconosce dal fatto che non urta nessuno e tutti lo possono leggere con piacere. Un quadro, una scultura devono poter essere apprezzati dai più stimati parrucchieri, e un monumento pubblico o privato, eseguito da un architetto coscienzioso, non deve esigere più originalità di un porcile. Questa è l’esperienza dei secoli. Un uomo ne vale un altro e il suffragio universale, al quale siamo debitori di tanti benefici, lo dimostrano abbondantemente. Pensare o agire diversamente da tutti gli altri è ingiurioso per la moltitudine. Platone che voleva circondare la sua repubblica con i più solidi bastioni, allontanandone tutto quello che poteva attentare alla morale, bandiva spietatamente i poeti e quegli altri rompiscatole che oggi vengono chiamati artisti originali. La cosa più sicura sarebbe ucciderli. La vera morale intravista dal divino Platone consiste nell’essere del gregge, nel rassomigliare a tutti.

Léon Bloy, Esegesi dei luoghi comuni

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22 lunedì Giu 2015

Posted by F. B. in Enrico Ghezzi, John Carpenter

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John Carpenter, La cosa

Il gioco al massacro è all’infinito, finché la vita non sia estinta, perché qualsiasi essere può essere ancora la cosa, l’essere del cinema. Fortemente implosivo, il film più geniale e affascinante di Carpenter è anche un’uscita allo scoperto che estremizzando il gioco filmico lo abbandona, che nel moltiplicarsi dell’euforia visiva trascina lo spettatore nel luogo della pura teoria, della rarefazione concettuale, ai limiti dell’asfissia e della disforia. Non c’è un segno nuovo da seguire, fosse pure un ragnetto e.t.; nulla “appare” a rinsanguare l’occhio. Anzi, la stupefacente mostruosità del trucco mina qualsiasi rilassata fiducia nella fiaba-cinema: non solo il cane-lupo che inietta fin dalla prima inquadratura la fiction nel bianco polare potrà essere d’ora in poi “cosa”, ma anche il gattino che abbiamo sulle ginocchia di colpo potrebbe cominciare a decomporsi, scomporsi, dissanguarsi, suddividersi in dieci teste, sibilare, diventare una pozza di liquido, un uomo o un ragno con la testa umana. Occhio dissanguato allora, occhio freak, occhio che in ogni momento può cominciare a friggere e delirare. La cosa è la messa in un scena del cinema come pupilla (tanto bianco intorno, infatti)  in cui tutto ciò che appare è pronto a dichiarare il suo non-senso, in cui qualsiasi ordine può aprirsi e mostrare orrori infiniti lovecraftiani..

Enrico Ghezzi, L’entità della cosa (il doppio del cinema)

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22 lunedì Giu 2015

Posted by F. B. in Enrico Ghezzi, John Carpenter

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John Carpenter, La cosa

Nell’estate del 1982 escono insieme sugli schermi USA E.T. e La cosa. Successo enorme del primo, clamoroso fallimento del secondo. […] La fiaba rassicurante di Spielberg riesce a mettere in campo un puro segno antropomorfo, […] dandogli una consistenza sentimentale che permette la semplicità/banalità di un trucco classico come quello del volo in bicicletta. Allo spettatore […] è affidato il compito/piacere […] di spostare sull’alieno l’investimento di umanità, senza alcun bisogno della potenza tecnologica esibita dal trucco “hard” di tanto cinema; anzi esaltando la semplicità, il “fai da te”, la dolcezza della normalità. […] Il trucco viene recuperato come capacità di far apparire, con la massima fiducia nel ruolo ordinatore-educativo del cinema (che infatti “insegna”, raccoglie e trasmette segni e notizie sia a E.T. che al bambino, fa da mamma e da scuola insieme). Nessuna mamma invece in La cosa. Nessun “amore”. Forse, nessuna “umanità”, visto che c’è “la cosa”. E’ possibile identificarsi con qualcosa che si può identificare con tutto e che non ha quindi forma? […] Non c’è rifugio dal terrore della cosa. […] La cosa è il principio stesso della trasformazione, adottato per la prima volta insieme come forma narrativa, oggetto della narrazione, generatore di immagini. […] La cosa è il cinema come puro deserto, nudità di un vuoto da popolare e riempire. Da sempre citazionale e referenziale, il cinema di Carpenter affrontando direttamente il “cinema” con la forma-remake si concentra e si compatta in una macchina infernale che deve mordersi la coda senza alcun dolore o contraddizione, perché la macchina/cosa è questo mordersi la coda.

Enrico Ghezzi, L’entità della cosa (il doppio del cinema)

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«Così come negli ultimi anni di vita vagheggiò l'idolo di non scrivere una sua filosofia, ma piuttosto di "montarla" con materiali che parlassero da sé, rinunciando così, per quanto possibile, a interpretarli, in ugual modo ha proceduto in questa raccolta di "articoli". La scelta e la disposizione degli "articoli" devono lasciar trasparire la sua filosofia, senza costringerla in una forma concettuale che la contraddirebbe.»

T. W. Adorno, Note a "Uomini Tedeschi" di Walter Benjamin

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F. B.

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"Non ho mai avuto, e non ho tuttora, la percezione della mia identità personale. Vedo me stesso come il luogo in cui qualcosa accade, ma non c’è nessun “Io”, nè alcun “me”. Ognuno di noi è una sorta di crocicchio in cui le cose accadono. Il crocicchio è assolutamente passivo: qualcosa vi accade. Altre cose, egualmente importanti, accadono altrove. Non c’è scelta: è una questione di puro caso." Claude Lévi-Strauss

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